Dalla riunione del Consiglio delle Opere dell'8 marzo, alcune considerazioni dopo il viaggio fatto dai nostri ragazzi per presenziare all’udienza del Papa a Roma
In nostro gesto è, prima di tutto, un rendere grazie
Abbiamo raggiunto un traguardo importante: sessant’anni del Comune dei Giovani, forse per qualcuno, per qualche nostro detrattore, anche impensabile e inimmaginabile, però ci siamo e ci siamo ancora con una certa vivacità. Viviamo così un forte sentimento di riconoscenza e di gratitudine verso chi ci ha permesso di vivere questa entusiasmante possibilità, questa preziosissima esperienza.
Pensiamo a chi ci ha passato il testimone, a quanti ci hanno preceduti, in questi nostri sessant’anni, come presidenti, sindaci, ministri, collaboratori, semplici iscritti, fino a don Didimo, il nostro fondatore, lo strumento che Dio ha usato per consegnarci il carisma che stiamo vivendo. Siamo grati a questo prete, tanto forte e geniale quanto incompreso e osteggiato, che ci ha lasciato insegnamenti e un esempio di vita cristiana certi, chiari, convincenti e attuali perché sicuramente ispirati da Dio, e coltivati nella preghiera e nello studio continui, sorretti e verificati con l’offerta e il sacrificio suo e dei suoi primi giovani che lo hanno seguito.
Siamo stati dal Papa
Prima di ogni altra iniziativa, così come abbiamo fatto per il 50°, il nostro pensiero è per il Papa, quale vicario di Cristo, quale riferimento sicuro, certo e indiscutibile della nostra fede. Don Didimo ci ha insegnato così, i nostri “vecchi” hanno continuato convintamente questa scelta e noi, pur con la nostra piccola povera fede, vogliamo restare fedeli a questo insegnamento. La Chiesa, pur con gli errori e le incoerenze di tanti suoi membri, pur con le mille difficoltà e problemi che in ogni epoca si sono manifestati, è come una nave sicura in mezzo alla tempesta, perché Cristo l’ha affidata a Pietro e la guida ogni giorno per mezzo dello Spirito Santo. Noi saremo sempre con il Papa e la Sua Chiesa, perché il nostro traguardo ultimo è Cristo e tutto quello che facciamo – anche se pieno di difetti – lo facciamo per Cristo e con Cristo, per tutti noi “via verità e vita”.
Festeggiamo con gli amici
Una gioia non è vera, nel senso di piena, se non è condivisa. Siamo stati a Roma anche trovare don Paolo, un nostro grande amico, un prete che a noi ha dato tanto e continua a volerci bene. Con lui ogni volta troviamo i suoi parrocchiani, negli anni di tante parrocchie diverse e con loro sono cresciute amicizie e famiglie che sono la prova del valore di questo nostro legame. Siamo stati a Roma ed eravamo un gran bel numero, un altro gran numero di noi è stato attaccato al telefono e alle immagini e ai video che da Roma arrivavano, perché, pur con non poche difficoltà, siamo ancora un’esperienza, una realtà associativa che colpisce, che sorprende, che non lascia indifferenti, che affascina e coinvolge dentro, che crea legami profondi. Sessant’anni sono un traguardo di tutto rispetto, è giusto e doveroso ringraziare e festeggiare “come Dio comanda” e come siamo capaci, abbiamo un anno per farlo e abbiamo iniziato come meglio non si poteva. Rendiamoci conto sempre del regalo che ci è stato fatto, del tesoro che ci è stato affidato e rispondiamo a questa immeritata fortuna con la nostra sempre più convinta partecipazione, con la nostra sempre più motivata adesione e con il nostro fattivo sostegno a queste realtà, senza paura delle responsabilità che ci vengono affidate. Siamo un gruppo come pochi altri, perché siamo una grande famiglia, perché il Signore, in tutti questi anni, ha dimostrato per noi un occhio di riguardo, una preferenza e abbiamo tanti amici – vivi o in cielo – che non ci abbandoneranno mai.
Viva il CdG, viva don Didimo.
Giovedì 17 marzo Villa Rezzonico si tingerà di biancoverde. Il Calcio Santa Croce, infatti, ha organizzato un Gran Galà per chiudere i festeggiamenti del suo 60° anniversario. Dopo la tavola rotonda del dicembre scorso nella quale si sono confrontati tre ospiti d’eccezione (mister Ezio Glerean, l’allenatore della primavera del Cittadella Manuel Iori e don Alessio Albertini, fratello del giocatore Demetrio e consulente ecclesiastico nazionale del CSI), giovedì prossimo sarà l’occasione per celebrare la storia della società, con gli allenatori e i dirigenti di questa stagione e gli ex allenatori ed ex presidenti che hanno contribuito a costruire questi primi 60 anni di storia.
“Ci apprestiamo a chiudere questo anno di celebrazioni – commenta il presidente Fabio Mariotto – del quale abbiamo approfittato per riscoprire e valorizzare i motivi del nostro impegno per uno sport che sia anche un’occasione di amicizia e di formazione per i giovani”. Per questo, aggiunge, è stata motivo di particolare soddisfazione la menzione che la società ha ricevuto a gennaio in occasione del conferimento del Premio San Bassiano da parte dell’amministrazione comunale: “è stata la conferma che quello che facciamo non è solo per dare compimento allo slancio educativo che ci ha trasmesso il nostro fondatore don Didimo, ma dà frutti alla collettività intera che sono apprezzati dalle istituzioni; è il nostro modo di contribuire al bene comune”. Ad oggi, con più di 200 atleti tesserati in tutte le categorie dai Primi Calci alla Seconda Categoria e più di 50 persone coinvolte negli staff, l’A.S. Santa Croce è infatti una delle società più numerose del comprensorio bassanese.
Alla serata saranno presenti, inoltre, il Presidente del CONI Regionale Dino Ponchio, il Presidente FIGC Regionale Giuseppe Ruzza, il Sindaco di Bassano del Grappa Elena Pavan e mister Luca Gotti, ex Allenatore dell'Udinese Calcio.
La serata di giovedì precede la chiusura “sportiva” dei festeggiamenti, che si terrà in occasione del Torneo Antonio Ricchieri, che da 25 anni i biancoverdi organizzano nel mese di maggio coinvolgendo altre 20 società in una kermesse che permette di scendere in campo e di confrontarsi a centinaia di piccoli calciatori della categoria Pulcini ed Esordienti.È l’inizio di un anno importante, veramente importante – festeggeremo infatti il 60° del Comune dei Giovani – e dobbiamo essere carichi, convinti, motivati, determinati.
Purtroppo, da due anni viviamo sotto scacco. Questa situazione generale (crisi sanitaria, economica, sociale…), sta colpendo duramente le nostre persone, le nostre famiglie la nostra comunità e sta facendo traballare, dubitare anche i più forti.
Di questa situazione ci sono due sottolineature che vale la pena fare. La prima è generale e riguarda l’apatia, la perdita del desiderio, la sfiducia, la rassegnazione, l’ammosciamento totale e generale, il “calo vitale” – soprattutto tra gli adolescenti – il chiudersi in casa e in noi stessi.
La seconda è relativa a chi si dà e si dava da fare: abbiamo assistito a un lento, progressivo ritirarsi dalla scena o dal campo, un chiamarsi fuori perché stanchi e demotivati, perché amareggiati per mille cose, perché “ho già dato e tocca agli altri…” salvo poi lamentarsi perché gli altri non ci sono (varrebbe la pena, a questo proposito, rileggere Papa Francesco che in Evangelii gaudium, a partire dal punto 76, parla delle “Tentazioni degli operatori pastorali”).
Cosa possiamo fare? Come prima cosa, dobbiamo non perdere la speranza, non perdere la compagnia.
In una recente intervista a La Voce dei Berici suor Emanuela Abriani afferma che Santa Maria Bertilla Boscardin (di cui quest’anno si celebra il centenario dalla morte) “ha vissuto il quotidiano, nulla di eclatante o fuori dalla portata dell’uomo semplice, in modo straordinario, ritrovando Cristo in ogni cosa”. Il suo esempio lascia “un messaggio di speranza che nasce e si sviluppa nella fede: Con il crocifisso in mano tutto è più leggero, scriveva Bertilla nel suo diario”. Ancora: “un altro messaggio che lei potrebbe consegnarci è quello della relazione e della prossimità”. Ma come si fa a camminare insieme? “L’ascolto è il segreto e Bertilla ne è l’esempio […] Bertilla indica l’importanza di stare in silenzio e di ascoltare l’altro senza pretesa di dare risposte pronte. Ci insegna ad avere pazienza, nell’attesa che l’altro si esprima […] Ci insegna a camminare accanto”.
Infine, Santa Maria Bertilla Boscardin “insegna la perseveranza e la fedeltà in una radicalità che profuma di rettitudine e di fiducia, a me insegna a non lasciarmi abbagliare, ma essere luce, anche piccola, ma capace di illuminare il cammino di chi mi vive accanto”.
C’è molto dell’approccio di don Didimo in questi insegnamenti. Anche lui invitava a un ordinario vissuto in modo straordinario, sottolineava il valore della relazione, del silenzio e dell’ascolto, esortava alla pazienza, alla perseveranza e alla fedeltà nonostante tutte le difficoltà.
Come seconda cosa, dobbiamo ascoltare e fare noi il primo passo. Ascoltare è il cuore dell’anno sinodale voluto da Papa Francesco. L’ascolto è il tema forte di tante riflessioni proposte dalla Chiesa a tutti i livelli.
Nell’ultima Lettera Pastorale di mons. Beniamino Pizziol (Camminiamo insieme. Lo Spirito Santo e noi), c’è l’invito a “camminare insieme nell’ascolto dello Spirito”. Gli incontri di quest’anno in diocesi per la formazione permanente sono sul tema dell’ascolto. Sempre La Voce dei Berici, il 30 gennaio, intervista uno dei relatori del corso, la teologa Assunta Steccanella: “Pensiamo troppo a fare, piuttosto che ad ascoltare”; parla di ascolto attivo: “l’ascolto attivo è relazionale, bisogna far percepire all’interlocutore che lo si sta ascoltando davvero, rispecchiando quello che dice in modo che il dialogo diventi autentico”.
La settimana precedente ne parlava don Nico Dal Molin, responsabile per la diocesi della formazione permanente: “ascolto è una parola inflazionata: è talmente utilizzata che può dire molto, ma può anche dire nulla […] serve allenamento, una strategia, serve una formazione specifica”. Don Dal Molin citava anche l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini e la sua lettera agli adolescenti, i primi e più bisognosi di essere ascoltati (https://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/larcivescovo-agli-adolescenti-meglio-fellowers-che-followers-474112.html).
Fare noi il primo passo, concretamente, non solo con i buoni propositi:
1. nel saluto, nell’attenzione, nell’ascolto, nell’incontro, nella parola “vera”;
2. nell’interessamento, nell’aiuto spontaneo, senza aspettare che ci venga richiesto. Se aspetti che sia l’altro a chiedere aiuto lo metti magari in difficoltà. Se lo fai tu, è gratuità tua e libertà sua di accettare.
3. nel chiarire, chiedere le ragioni del male subito. Chi sente di aver ricevuto un torto, una cattiveria gratuita, una esclusione ingiustificata, una critica ingiusta, chieda prima possibile un chiarimento, una spiegazione, per poi ricucire, ricostruire, rinsaldare un legame. Per distruggere un legame costruito negli anni, basta purtroppo un niente e da soli siamo tutti più deboli.
Cosa c’entra questo con la crisi? Ernesto Olivero, fondatore del Serming, riconosceva la sua originaria ispirazione nelle parole di frère Roger Schutz – fondatore della comunità di Taizé – quando diceva che “sarebbe bastato un pugno di giovani per cambiare il corso della storia di una città, di un paese, in definitiva del mondo”, questa era stata la scintilla del suo progetto. Aggiungeva poi che “la differenza, del resto, può farla solo l’ideale che metti al centro di tutto”. Come non vedere anche in queste parole l’idea del Comune dei Giovani, la nostra realtà, noi?
Nell’episodio del Vangelo di domenica scorsa, quello sulla pesca miracolosa, gli apostoli sistemavano le reti, avevano lavorato inutilmente tutta la notte, erano stanchi, delusi, amareggiati, scoraggiati e Gesù dice a Pietro “prendi il largo”. Loro si fidano, obbediscono e poi pescano in maniera miracolosa. Mi pare di vedere noi: “abbiamo dato”, “abbiamo fatto”, “ancora noi?”, “basta, che due…”. Gesù, tra l’altro, lo chiede a tutti indistintamente, non distingue in quanto hai lavorato, quanto siete stanchi, quanti anni avete da animatori, dirigenti, ministri, quanti anni di consiglio, ecc. Non ne fa neppure una questione di età: i pescatori a quel tempo non andavano mai in pensione, si pescava sempre e sempre si era al servizio.
Così per noi come quei poveri pescatori, noi semplici strumenti nelle mani di Dio, noi con tutti i nostri limiti, difetti, debolezze e stanchezze. Anzi, è proprio in questi casi che Dio lavora meglio.
Un’ulteriore conferma che dobbiamo fidarci di Cristo ce l’abbiamo se pensiamo che Gesù manda gli apostoli a pescare di giorno, cioè chiede di fare una cosa assurda agli occhi di un pescatore, che sa bene che la pesca si fa di notte. Tuttavia, Pietro e gli altri si fidano contro ogni esperienza e così diventano strumenti attraverso i quali si compie il miracolo.
Questo ci fa pensare non ai risultati ma ai frutti del nostri agire per Cristo che sono prima di tutto un cambio in noi, sulle nostre persone: disponibilità, fiducia, offerta, che ci mettono al riparo dal cruccio dei risultati, dall’amarezza dell’insuccesso, dalla delusione del mancato plauso e riconoscimento.
Per il card. Giacomo Biffi (Stilli come rugiada il mio dire, ESD 2015) quella barca è la Chiesa di tutti i tempi: “Prendi il largo”, dice. “Non avere paura di avventurarti lontano dalle opinioni della folla […] una Chiesa assimilata e mondanizzata non converte nessuno”. E poi: “Sulla tua parola getterò le reti […] il segreto della vitalità della Chiesa non sta tanto nella sua ansia di rendersi credibile e accettabile, quanto nella sua umile e sincera volontà di essere credente e più vicina a Dio e alla sua legge d’amore”. Infine, “Allontanati da me che sono un peccatore”: come per Paolo e Isaia, Pietro si sente profondamente indegno. Così dovrebbe essere per ogni seria vita ecclesiale, ci si sente così inadeguati che non si pensa più alle colpe degli altri con il solo desiderio di salvarli.
Riproponiamo una sintesi dell'intervento del presidente Gabriele Alessio durante la riunione del Consiglio delle Opere di martedì 18 gennaio
Il 2022 sarà l’anno del 60° del Comune dei Giovani, l’anno del 40° del Premio Cultura Cattolica e, pochi forse lo ricordano, dei 25 anni del Consiglio delle Opere. Il primo “regolamento” costitutivo è infatti del dicembre 1996 e la prima riunione è dell’inizio del 1997.
Erano trascorsi pochi anni dalla morte di don Didimo, nel 1991, e si stabilì di dare vita al CdO perché fosse un organismo collegiale, e non un singolo, a farsi garante dell’eredità spirituale ed educativa del nostro fondatore. Così, ancora oggi, il CdO riunisce tutti i presidenti delle nostre attività, il Sindaco e il segretario del CdG e dei membri eletti e nominati per supportare e per fare da “punto di unità” per tutte le realtà del movimento.
La nostra, infatti, è come una galassia e tanto più è grande la galassia tanto più forte, compatto, ne deve essere il centro, che è appunto il Consiglio delle Opere. Come ha spiegato recentemente don Alessio Albertini nell’incontro per il 60° del Calcio, lui come assistente del Centro Sportivo Italiano, deve verificare, garantire, che ogni gruppo o sezione riconosca e rispetti i principi ispiratori dell’associazione. Così era per noi quanto avevamo l’assistente (don Didimo prima e, per qualche anno in seguito anche don Antonio Gonzato): l’assistente era il sacerdote, l’adulto, l’educatore, il garante del rispetto in ogni nostra associazione dei principi ispiratori e fondanti del CdG. Per questo motivo, l’assistente aveva da statuto anche un diritto di veto con il quale intervenire laddove vedesse che quei principi ispiratori non erano rispettati.
Il CdO è come un giardiniere o un contadino, che puntella e sostiene la pianta perché cresca dritta, ne pota i rami perché si sviluppi armonica e porti più frutto. Organizza le colture, studiando come metterle e dove metterle, perché tutte abbiamo il loro spazio e godano delle condizioni ottimali; egli sa annaffiare e concimare quando serve, toglie le erbacce per ottenere sempre i prodotti migliori.
Il CdO è come un direttore d’orchestra che dirige le voci e i vari strumenti perché, seguendo tutti lo stesso spartito, possano insieme interpretare nel miglior modo possibile l’opera che è stata loro affidata.