Avvento è attesa di Uno già presente. È questo il tema che ha affrontato don Guido Randon nella sua riflessione durante il ritiro di Avvento che le Opere don Didimo Mantiero hanno proposto ai propri responsabili sabato 10 dicembre.
“L’Avvento non è un’attesa vaga e immaginaria”, ha esordito don Guido. La parola “attesa” ha un significato profondo, indica l’accorgerci di una presenza. È con questo atteggiamento che va vissuto il periodo che ci porta al Natale, e non con l’idea che – siccome si dice che a Natale siamo tutti più buoni – “basta fare una buona azione e poi dal giorno dopo è tutto come prima”.
“Cristo è già tra noi, dobbiamo prepararci come ad un compleanno di una persona amata, ma che è presente!”. L’attesa di questo incontro è ciò che giustifica l’impeto del nostro cuore, che non attende qualcuno se non lo ha già incontrato, lo stesso impeto che Cesare Pavese registrava scrivendo nei suoi diari «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» (Il mestiere di vivere) “In fondo – ha commentato don Guido – l’attesa del cuore è che il Signore venga, che venga Colui che lo ha creato per dargli definitiva pienezza”.
Come vivere l’Avvento, quindi? Anzitutto, con una affezione a Cristo. “Non dobbiamo parlare di Lui in modo ideologico, ma guardando alla realtà: siamo amati", ecco l’affezione a Cristo. Il bisogno di essere amati è l’unico bisogno in cui tutto si riassume, ha ribadito: “la coscienza di essere amati definisce il nostro io.” Ma essere amati non significa solamente avere qualcuno che ci vuole bene. È necessario prima di tutto avere coscienza che “è accaduto un fatto nella storia: il figlio di Dio si è fatto carne, è morto, risorto e vive tra noi.” Egli ci ama non perché siamo bravi o coerenti, ma per Sua libera e gratuita iniziativa. “Non cediamo alla tentazione di pensare di non essere adeguati”, ha sottolineato, “è Gesù che ci chiede di seguirlo anche assumendoci delle responsabilità.”
Un secondo fattore per vivere bene l’Avvento è la preghiera. In essa, è fondamentale la memoria, che però non è un semplice ricordo, è un impegno del cuore. “Non posso dimenticarmi di essere amato. Tutta la liturgia della Chiesa è una memoria, è il cuore che mendica quella presenza.”
"La memoria che si fa preghiera – ha aggiunto – trasforma i rapporti in preghiera.”
Infine, serve la consapevolezza che essere amati “è un fatto”. Perché siamo stati chiamati alla vita? “Per una utilità del Signore, per un suo disegno, non certo per un nostro teorema. Questo è il nostro compito”, che per noi vuol dire portare la novità di Cristo presente: “scostarsi da questa prospettiva vuol dire ingannare il nostro cuore.” Dobbiamo, infine, tenere presente che “Gesù entra in noi nel nostro peccato, ci ama nonostante il nostro peccato. La felicità non sta nel possedere qualcuno, ma nel lasciarsi possedere da Lui.”
Venerdì 4 novembre è stato conferito a Franco Nembrini il 40° Premio Internazionale Cultura Cattolica. Il Teatro Remondini lo ha accolto traboccante di ospiti, familiari, amici venuti da tutta Italia e dall’estero per festeggiare insieme a lui questo momento così importante. A loro è andato il primo pensiero e ringraziamento e un sentimento di “commozione sincera di vedere in una sola sala radunata la mia vita, la mia storia, i miei rapporti più significativi”.
Il nome di Franco Nembrini si aggiunge alla lunga lista di premiati che la Scuola di Cultura Cattolica ha ospitato a Bassano. La presidente della Scuola di Cultura Cattolica Francesca Meneghetti ha sottolineato come dall’elenco dei quaranta premiati emerga nettamente un filo rosso, una linea culturale che si è sviluppata secondo tre direttrici ben precise: “la fedeltà al magistero della Chiesa, un impegno apologetico fondato sul rapporto fede-ragione, attraverso la filosofia, la scienza e i diversi campi del sapere e l’affermazione di una verità sull’uomo e per l’uomo come risposta di senso al relativismo imperante e ai cambiamenti della società.”
“Franco Nembrini, per questo anniversario speciale, è la scelta più che azzeccata della nostra giuria nella continuità con la nostra storia e nell’apertura al futuro rappresentato dai molti giovani che ci seguono.”
Il dialogo che l’ospite ha intrattenuto con la giornalista dell’Osservatore Romano Silvia Guidi ha quindi preso le mosse dalla testimonianza di don Luigi Giussani: “Questo premio è il secondo a don Giussani: il primo gli è stato dato in vita, quello di stasera è alla memoria, perché tutto quello che di buono può essere successo nella mia vita e il piccolo contributo che posso aver dato io viene da lì.”
Tra gli amici presenti c’era anche don Julián Carrón, che è succeduto proprio a don Giussani alla presidenza del movimento di Comunione e Liberazione. “La sfida più grande che un cattolico ha davanti a sé in questo momento è come comunicare all’uomo di oggi il dono che ha ricevuto gratuitamente – ha detto nel suo saluto – e infatti Gesù è entrato nella storia offrendo una modalità di stare nel reale che colpiva chi Lo incontrava”. La cultura è “incontrare lo sguardo di Cristo su di noi, che diventa il nostro sguardo sulla realtà. In un mondo che pensa di sapere cos’è il cristianesimo, o ha deciso che non gli interessa più, o che non lo ha mai conosciuto, niente è più decisivo che una persona venga raggiunta da uno sguardo così, come Zaccheo”.
Questo sguardo, questa curiosità, è lo stesso che aveva Giussani, ha affermato Nembrini: “Quando Giussani teneva le sue predicazioni il suo parlare era pieno di riferimenti letterari: era come se raccogliesse in un dialogo fecondissimo tutto quello di buono che l’intera umanità in qualche modo aveva espresso, comunicato: io non ho fatto altro che umilmente cercare di fare lo stesso davanti alle cose.” Così sono iniziati i percorsi con Dante e con la Divina Commedia, prima di tutto, ma poi anche con altri autori ed opere, come Pinocchio di Collodi, il Miguel Mañara di Milosz e, più recentemente, con I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: “Lo studio è stato questo dialogo curioso e fecondo con tutto ciò di grande che mi capitava di incontrare.”
“La cultura non è l’erudizione, ma la coscienza del nesso tra il particolare e l’universale”, ha spiegato Nembrini, la stessa coscienza della contadina che, andando nell’orto e raccogliendo una carota bellissima, con stupore e meraviglia esclama “ma com’è grande Dio!”.
Con Dante “mi sono appassionato all’idea che lì dentro ci fosse tutto quello che era importante sapere, la sfida che io volevo portare ai poveri ragazzi a scuola, e la Divina Commedia è diventata un modo per raccontarla.” L’insegnamento diventa quindi la risposta alle grandi domande del cuore, e il nostro cuore – ciò che ci muove e che desideriamo di più – è uguale a quello di tutti gli uomini. Questo è l’ingrediente segreto della ricetta di Nembrini: “Si parla ai ragazzi di questo non per loro, non per convincerli di qualcosa. Virgilio è andato a salvarlo perché una bella ragazza (la sua vecchia morosa) si è interessata di lui ed è scesa all’inferno a prenderlo e salvarlo lasciando il paradiso per poterlo fare. Allora ti viene in mente che anche nella vita reale tua moglie ti viene a prendere all’inferno, tutti i giorni, e chiedendo ai ragazzi cosa pensano di ciò, anche il più scalcagnato per un istante ti guarda e dice ‘sarebbe bello, ho sperato tanto in un amore così, ma non esiste; ma è vero, il mio cuore vorrebbe un amore così’”. Il Sommo Poeta “dice che la vita è una selva oscura, non si capisce niente, ma puoi fare una cosa, cioè gridare ‘miserere di me!’; e quando Giussani ha detto che ‘il vero protagonista della storia è l’uomo mendicante: il cuore dell’uomo mendicante di Cristo e Cristo mendicante del cuore dell’uomo’, lì mi si è spalancato il mondo”.
Al centro di tutto, però, c’è sempre lo “sguardo”. Non ha caso, le parole più ricorrenti della Commedia sono “occhi, bene, vidi, mondo”. “Guardare stabilisce il rapporto con le cose. Questo mi ha sempre colpito tanto: quando ho scoperto che le quattro parole più importanti sono ‘occhi, bene, vidi, mondo’, vuol dire che il problema della vita di un uomo è dove guarda, cosa sta cercando: indagando la realtà che hai davanti, che cosa desideri davvero? Perché troverai solo ciò che desideri davvero”, ha risposto Nembrini. “Occhi, bene, vidi, mondo: con gli occhi ho cercato il Bene, il Bene assoluto, ho cercato Dio e l’ho visto nella realtà, non nell’aldilà o in cielo, ma sulla terra. Questo per me è la sintesi della Divina Commedia e del metodo di comunicazione della fede di don Giussani.”
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Venerdì 4 novembre alle ore 20:30 presso il Teatro Remondini a Bassano si svolgerà la cerimonia di consegna del 40° Premio Internazionale Cultura Cattolica. A riceverlo sarà l’insegnante e scrittore Franco Nembrini.
Franco Nembrini – recita la motivazione – “è una delle voci più originali nel campo educativo”: autore di best-sellers sul tema (come, ad esempio, Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare), vive una passione per l’insegnamento che attraversa “due momenti decisivi: l’incontro alle scuole medie con la professoressa di Lettere, che lo porta a scoprire la vocazione a educare, e l’adesione giovanile a un cammino di fede”, quello di Comunione e Liberazione, esperienza sorta dal carisma di don Luigi Giussani, che pure ha ricevuto il Premio Cultura Cattolica a Bassano nel 1995.
Dal 1999 al 2006 è presidente della Federazione Opere Educative (FOE), associazione di scuole paritarie. Nello stesso periodo fa parte del Consiglio nazionale della scuola cattolica e della Consulta nazionale di pastorale scolastica della CEI, oltre che della Commissione per la parità scolastica del Ministero dell’Istruzione. In questi anni gira il mondo sostenendo opere educative nate dalla passione missionaria della Chiesa: partecipa così alla fondazione della Holy Family School di Freetown, voluta dal saveriano don Bepi Berton per i “bambini soldato” scampati alla guerra civile, e in Spagna contribuisce al sorgere del Collegio “Massimiliano Kolbe” di Villanueva de la Cañada.
Dalla passione per la Divina Commedia nascono una serie di incontri che si tradurranno poi in libri e trasmissioni televisive: per conto di Tv2000, emittente della CEI, dal 2015 al 2016 realizza “Nel mezzo del cammin”, un ciclo di 34 puntate sulla Commedia. Inoltre, tra il 2018 e il 2021 pubblica per Mondadori i volumi di commento all’Inferno, al Purgatorio e al Paradiso, illustrati da Gabriele Dell’Otto e con la prefazione di Alessandro D’Avenia. Hanno avuto grande diffusione anche le sue riletture del Pinocchio di Collodi, del Miguel Mañara di Oscar Milosz e de I promessi sposi di Alessandro Manzoni.
Si legge ancora nella motivazione: “Come per il suo maestro don Luigi Giussani, e come per don Didimo Mantiero, ispiratore della Scuola di Cultura Cattolica, anche per Franco Nembrini l’educazione è un impegno che, avendo lo scopo essenziale di testimoniare e trasmettere ciò che nella vita è autenticamente buono, bello e vero, coinvolge l’intera esistenza personale.”
Il premiato riceverà il saluto del Sindaco Elena Pavan venerdì 4 novembre alle ore 11:00 presso il Municipio di Bassano del Grappa. L’incontro è aperto alla stampa.
Ripartiamo in questo nuovo anno pieni di buoni propositi e con la determinata volontà di darci un ordine. Alcuni spunti a partire dalle ultime riflessioni fatte dal Consiglio delle Opere.
Andiamo a ritrovare prima di tutto quali sono i compiti del Consiglio delle Opere. La risposta ce l’ha data all’assemblea del 2019 don Vincent Nagle: “Nessuno di voi ha il compito di conservare l’opera ricevuta da don Didimo; dovete solo andare in fondo a quella cosa che ha fatto nascere questa opera e vedrete che quell’opera rivivrà…. scoprire l’avvenimento che l’ha fatta nascere” e don Paolo Baldo: “ognuno ha la responsabilità del tutto”.
L’avvenimento è qualcosa che accade, un fatto, una situazione concreta, per noi questo è stato l’incontro e l’amicizia tra un prete innamorato di Cristo e della Chiesa, convinto che l’uomo ha bisogno della Verità come il pesce ha bisogno dell’acqua (anche se non ne è consapevole) e dei giovani che hanno dato seguito al loro desiderio di vero, di bello, di giusto, di relazioni piene e autentiche e che hanno scommesso tanto o tutto della loro vita in un progetto originale di cui erano i veri protagonisti. Da questo incontro/amicizia sono quindi nati un luogo (l’oratorio, un ambiente, il “villaggio” di cui ha parlato Papa Francesco necessario per “educare i figli”) e una compagnia in cui sono cresciuti fede e umanità e di cui tutti si sentono – ancor oggi – responsabili.
Ripercorrendo inoltre quello che ci siamo detti negli ultimi anni, si delineano quattro possibili priorità.
Pensiamo, ad esempio, all’iniziativa del “taglia e rafforza” pensata per razionalizzare le nostre tante attività e capire su quali fosse più giusto concentrarsi: “tagliare” non serve se non per rafforzare le radici del nostro albero (carisma), lavoriamo di più e con più convinzione sui nostri fondamenti della preghiera e della formazione. Senza nulla togliere a tutte le nostre altre attività, su questi due aspetti, settori, obiettivi vorrei che lavorassimo di più e meglio in quest’anno. In particolare, mi viene da suggerire – riconoscendo che sono temi difficili e controcorrente – che dovremmo dedicare un’attenzione particolare ai temi del fidanzamento e della famiglia, passando per il valore del matrimonio.
Sulla preghiera dobbiamo impegnarci di più, avere più coraggio e convinzione nel proporre La Dieci e i vari nostri momenti forti come le messe e i ritiri. È necessario, quindi, che curiamo di più l’aspetto della spiritualità.
Anche sulla formazione dobbiamo fare di più. Curare la nostra formazione personale è un dovere, un obbligo di ciascuno e in particolare di quanti hanno responsabilità educative. Quanto al metodo, ricordo quello che ci siamo detti quando lo abbiamo paragonato al tipo di “irrigazione”: cerchiamo sempre di adottare il sistema di “irrigazione a goccia”, rispetto a quello “a pioggia”. Ai discorsi alle assemblee, ai gruppi e alle squadre privilegiamo il dialogo personale, i colloqui mirati e con una certa costanza e sistematicità con i singoli. Nel libro per il 50° anniversario del Calcio, Luigi Bortolaso (uno dei primissimi collaboratori di don Didimo a Valdagno) scriveva: “Don Didimo non credeva nell’educazione di massa, ma nell’educazione personale, individuale, fatta di conoscenza e sacrificio. Sine sanguini effusione non est remissio, diceva spesso, anche per l’educazione dei giovani”.
Aggiungo altre due sottolineature: la necessità di pensare e avviare concretamente un nostro progetto di carità (un pozzo, una casa, una chiesa, un seminario); è urgente darci questo obiettivo concreto e appunto visibile, per farci ripensare alle cose importanti e per lavorare insieme tutti.
Inoltre, dobbiamo curare meglio e di più il rapporto giovani-adulti. Dobbiamo convincerci e convincere che non è un nostro capriccio, ma un elemento costitutivo, originario e “profetico” della nostra esperienza associativa, della nostra originalità educativa. Non lo ha voluto solo don Didimo (pensate anche solo allo stemma del CdG), ora lo chiede la Chiesa con il Sinodo sui giovani e ce lo ha chiesto il nostro Vescovo Beniamino sulla sua lettera pastorale “Che altro mi manca?” (pag. 4).
Venerdì 23 settembre è stato annunciato il nome del nuovo Vescovo di Vicenza, mons. Giuliano Brugnotto, attuale vicario generale della Diocesi di Treviso. Le nostre Opere accolgono con gioia questa notizia e assicurano al nuovo Vescovo Giuliano le preghiere costanti che egli stesso ha chiesto perché il Signore lo sostenga nel nuovo compito a cui lo ha chiamato.
Mons. Brugnotto, nel suo primo saluto alla Diocesi di Vicenza, ha parlato delle "terre di missione" a cui ha sempre desiderato dedicare la vita. Nella storia del nostro carisma, da sempre vicino ai giovani e alle famiglie, abbiamo potuto constatare che negli ultimi anni anche questi ambiti sono diventati delle nuove "terre di missione" nelle quali portare l'annuncio di Cristo. Nel nostro piccolo, assicuriamo al nuovo Vescovo la nostra vicinanza a lui e la nostra cooperazione in questo slancio di apostolato con lui e tutta la Chiesa vicentina.
Ringraziamo il Signore, infine, per aver donato a quest'ultima la guida di mons. Beniamino Pizziol, a cui va la nostra gratitudine per l'amicizia e il sostegno che ha voluto riconoscere nel tempo alle Opere don Didimo Mantiero.