Le opere di don Didimo Mantiero





“La linea sottile” è titolo della conferenza di apertura della Giovaninfesta che giovedì 14 giugno ha tenuto la prof.ssa Assuntina Morresi, invitata dal Comune dei Giovani. Un incontro durante il quale Morresi ha affrontato il tema dell’eugenetica, termine coniato per esprimere il concetto di una buona nascita e quindi un desiderio comprensibile (“chi non vorrebbe che i propri figli fossero ben-nati?”), ma diventata con il tempo una “parola maledetta” perché l’associazione di idee riconduce agli esperimenti della Germania nazista e a tutte le pratiche di selezione dei migliori che anche oggi si realizzano. In effetti, ha commentato Morresi, “è indubbio che una mentalità eugenetica, molto spesso inconsapevolmente, sussista ancora oggi, anzi, abbia un certo successo e prosperi nella nostra società”. Si pensi, ad esempio, a quella tendenza, diffusa soprattutto nei paesi del Nord Europa, volta ad eliminare i feti di bambini con sindrome di Down. Alcuni Paesi, ha sottolineato la relatrice, addirittura “rivendicano il loro essere Down free”.

Con l’avvento della fecondazione artificiale ed ancor più con il perfezionamento delle tecniche di diagnostica prenatale come l’amniocentesi, la NIPT (Non Invasive Prenatal Testing) o con le più recenti modalità di diagnosi preimpianto embrionale, si è affermato un radicale cambio di mentalità: con la diagnosi preimpianto, ha spiegato Morresi, non si decide di dire di no a “quel” bambino – e “l’aborto è sempre la soppressione di una vita” – ma si creano in laboratorio più embrioni e poi “si sceglie di chi essere genitori”. L’idea di fondo, perciò, “è quella di scegliere il migliore. E cos’è questa, se non eugenetica?”.

Siamo al centro, quindi, di una vera e propria “rivoluzione antropologica che sta trasformando radicalmente alcune fondamenta della nostra società, dei nostri rapporti, delle nostre relazioni” e se da un lato viviamo in un terribile inverno demografico, un “momento di sterilità in cui si rivendica addirittura di essere childfree”, allo stesso tempo “siamo anche nel tempo del diritto al figlio, al figlio a ogni costo, al figlio sano”.

“Perché – ha chiesto provocatoriamente –, avendone  la possibilità, non scegliere il migliore? E che cosa è ‘il migliore’? Potendo, perché non scegliere il più alto, quello con i tratti più gradevoli? Chi decide, se non il mercato?”. Con questa logica, ha precisato Morresi, “il desiderio del bello viene stravolto nel diritto al figlio prefetto”.

Di fronte a questo scenario, la domanda che dobbiamo porci è “che cos’è l’umano?”, perché la tecnologia è talmente entrata nella nostra vita e nei processi che è molto difficile eliminarla. Non si tratta di demonizzare la tecnica, ha spiegato, ma di individuare “quei percorsi tecnologici che vanno a modificare l’umano e la sua percezione”. In questo contesto, un figlio diventa “l’oggetto di un progetto che deve venire al meglio e noi non ci rendiamo più conto che non tutti i desideri possono diventare diritti e che non possiamo diventare come l’apprendista stregone che mette insieme le cose e non si preoccupa delle conseguenze”.

Così “non c’è più l’esperienza umana della bellezza di una relazione gratuita”, e “non sperimentiamo il massimo della felicità che si realizza quando ti rendi conto che c’è qualcuno che ti ama proprio così come sei”.

Quindi, o noi “con questa vita ci litighiamo, oppure la facciamo diventare una spinta per scoprire cos’è l’umano e cosa noi veramente desideriamo, rinunciando alla mania di controllare, misurare e pianificare tutto”. Allora potremo accettare queste sfide della contemporaneità “non con la paura, ma con responsabilità e consapevolezza”.

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